Dalla giusta distanza a Donne, regole e tanti guai

La transizione tra un film come La Giusta Distanza e Donne, regole e tanti guai, è un nuovo passaggio tra la provincia italiana e quella americana, ritmi e tempi diversi, linguaggi diversi, perfino colori diversi, le nebbie si dissolvono, ma non per questo tutto è così limpido.

Senza anticipare niente, vedrete che anche questa volta le sorprese non mancano, così come le sorprese che ci hanno rallegrato, la nascita di Alice, figlia di Anna e appena due giorni dopo quella di Alice, di Daniela un’altra nostra conduttrice di qualche anno fa.

Le donne sono protagoniste ed in questo film vedrete che lo saranno davvero con uno scontro generazionale a 360 gradi.

Intanto continuiamo a pubblicare qui i vostri manifesti e su youtube trovate i video delle vostre sintesi.

I video sono volutamente realizzati senza inquadrature dei volti per rispetto della vostra privacy, ma ci sembrava importante raccontare anche quello che succede durante le giornate di proiezione, per condividerle con tutte le ragazze e i ragazzi che vengono alle proiezioni.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Una lettura sul Cinema di Mazzacurati e quella dei ragazzi

Vi proponiamo una lettura sul cinema di Mazzacurati regista de La Giusta Distanza di Pierpaolo Loffreda, ma prima ancora due citazioni letterarie ben individuate dai ragazzi, si tratta di due libri di Italo Calvino, uno citato Il Visconte dimezzato e uno simboleggiato da quel ragazzino in cima all’albero incurante degli strilli della zia, Il Barone Rampante.

Ancora un’altra visione che ho avuto anche io quella dell’arrivo della maestrina alla stazione, ovviamente non si tratta di una prostituta ma l’attenzione riservata dagli abitanti del paesino sembra quasi la Boccadirosa di De Andrè.

SUL CINEMA DI CARLO MAZZACURATI

 Lo pensiamo da tempo e non siamo i soli: Carlo Mazzacurati Ë una delle presenze più vive e significative del cinema italiano degli ultimi quindici anni. Ha una cifra stilistica ben riconoscibile, una poetica definita dai tratti malinconici e dal vivace estro narrativo, una decisa capacità di direzione degli interpreti, una visione del mondo complessa e una conseguente idea di cinema.

Nei suoi tre film che amiamo di più (non che gli altri non ci piacciano, tutt’altro! si tratta solo di scelte, come sempre, opinabili), Notte italiana (il primo lungometraggio, del 1987), L’estate di Davide (del 1998, realizzato purtroppo per la Tv e uscito poco e male nelle sale) e La lingua del santo (del 2000: uno dei film, non solo italiani, più interessanti della stagione scorsa, a nostro avviso) ha scelto di avere a che fare e di entrare in relazione diretta con tre generi importanti, fra i più impegnativi della storia del cinema: il noir, il romanzo (cinematografico) di formazione e la commedia amara, riuscendo a dare tre prove straordinarie di abilità narrativa e spirito inventivo, ed Ë proprio da qui che possiamo partire, crediamo, per prendere in considerazione tutta la sua opera. Nei tre film citati Mazzacurati Ë “entrato” nei generi in questione, utilizzandone i codici e vivificandoli-deformandoli alla luce di nuove – sue personali – ispirazioni: innanzitutto l’attenzione per l’ambiente, un paesaggio italiano minore e marginale: la pianura piatta, spoglia, segnata dai pioppi e dai canali del delta del Po, della laguna, e anche la terra immediatamente a sud del grande fiume, che Ë già stato luogo prediletto dei maestri, Visconti, Antonioni e soprattutto Antonio Pietrangeli, che il regista di Padova considera – giustamente a nostro avviso – un punto di riferimento per la straordinaria modernità del linguaggio e la sensibilità nei confronti dei personaggi presenti nei suoi film (La parmigiana, La visita, Io la conoscevo bene…). E non Ë un caso che il suo romanzo prediletto sia L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson: un percorso rischioso di scoperta e di crescita attraverso un ambiente carico di presagi. Un luogo conosciuto, il suo, e praticato durante tutta l’esistenza, e insieme dotato di atmosfere sospese, impenetrabili; un ambiente nel quale Ë facile rintracciare condizioni splendide del passato (la cascina di L’estate di Davide, la pensione e la balera di Notte italiana, la solitudine e il silenzio della laguna in La lingua del santo) ma in cui gli orrori dello “sviluppo” denunciati a suo tempo da Pasolini hanno lasciato un segno evidente (la corruzione, l’omertà e il delitto per convenienza nel primo film, la prepotente ed incolta ottusità dei neo-borghesi nell’ultimo).

Tale profonda attenzione nei confronti del paesaggio (e dei rapporti che col paesaggio e col reale intrattengono i suoi tipi umani, i sui personaggi curiosi e vivi) Ë riscontrabile anche negli altri lavori: pensiamo all’incipit de Il prete bello (1989), alla periferia romana di Un’altra vita (1992) alla Rimini di Vesna va veloce (1996). Il discorso si fa pi_ complesso per Il toro (1994): qui riemerge un tema già avviato con Un’altra vita e che diventerrà fondamentale in La lingua del santo: l’amicizia virile, che ha una nobile, diretta ascendenza nel cinema di Howard Hawks. Da questo punto di vista, se il film interpretato da Diego Abatantuono e Roberto Citran, ha ricordato a qualcuno Fiume rosso, a noi ha fatto venire più in mente le atmosfere di un altro indimenticabile capolavoro, Il grande cielo. Ma Il toro, oltre ad essere un western sui generis e un road movie, Ë anche una commedia amara, e per questo puÚ ricondurci a La lingua del santo, una picaresca avventura nell’Italia dei nostri giorni: commedia aspra (tanto da evocare Il sorpasso di Dino Risi) e insieme godibile per le squisite arguzie e le trovate, dovute anche alla collaborazione alla sceneggiatura di Franco Bernini, al fianco di Mazzacurati, con qualche pausa, fin dall’esordio (e regista in proprio di uno dei film italiani più belli e sottovalutati degli ultimi anni, Le mani forti, del 1997): qui, in un lavoro cosÏ carico di dolore dietro una comicità spesso irresistibile, si rivela una riflessione attenta sulla vita e sulla responsabilità chi tradisce se stesso, sembra dirci apertamente Mazzacurati, Ë il vero fallito.

 Pierpaolo Loffreda